Musica

Un bicchiere di vino di lillĂ 

Un bicchiere di vino di lillà

"There's the moon asking to stay Long enough for the clouds to fly me away
Well it's my time coming, I'm not afraid to die My fading voice sings of love, But she cries to the clicking of time Of time" "Grace"

"Ho capito che cos'è la musica dopo aver ascoltato questa voce, e mi verrebbe voglia di smettere di suonare" Vinicio Capossela

"Conoscerlo è stato come ricevere una tavolozza da pittore:nella mia vita sentivo di nuovo i colori" Elizabeth Fraser, Cocteau Twins

Posso affermare con serenità e sicurezza che se non avessi conosciuto la musica di Jeff Buckley sarei una persona diversa, probabilmente peggiore, e per questo ringrazio con tutto il cuore il mio primo ragazzo (un po' di vita privata ci sta sempre bene, i reality insegnano).

Quando iniziai ad interessarmi alla vita di questo straordinario artista, la prima cosa che mi lasciò perplessa fu il suo luogo di nascita: Anaheim, in Orange County. Nella mia testa O.C. esisteva quasi solo in film e telefilm americani, ed era la patria di fighetti spesso imbecilli e pieni di soldi, non certo un ambiente adatto ad un cantautore tormentato e affascinante. Ma tant'è, la vita ci riserva spesso delle sorprese.

Seconda scoperta, che ha seguito di poco quella di Jeff: lui aveva un padre musicista, e non uno qualunque, ma Tim Buckley. Non mi scorderò mai quello che mi disse un mio amico su un suo brano "Carnival song": "Flavia non riesco mai a sentirlo fino alla fine perché scoppio a piangere". Se non vi è mai capitato di avere a che fare con qualche album di Tim Buckley (come "Tim Buckley" del 1966 o "Goodbye and Hello" del '67), vi consiglio di rimediare al più presto: vi chiarirà  tante cose rispetto allo stile di Jeff e soprattutto capirete da chi diavolo avesse preso quella voce.

Di Jeff Buckley ci resta un solo lavoro in studio del 1994, "Grace", più una raccolta "Sketches for My Sweetheart the Drunk", uscita postuma nel 1998. Sono arrivata alla conclusione che sia meglio avere così poco, altrimenti qualcosa avrebbe potuto deluderci o annoiarci. Invece "Grace" è perfetto, assolutamente perfetto, una preziosa opera d'arte che non smette mai di essere attuale e che non si può non amare.

Non deve essere stato facile vivere "da Jeff Buckley": genitori separati (la madre era una violoncellista), il padre muore di overdose nel 1975 (lui aveva solo 9 anni), svariati cambi di casa e città, con la musica come fedele compagna. Un padre scomparso presto, che forse non c'è nemmeno mai stato, ma con un'eredità che è come un macigno, continuamente dentro le orecchie, la testa e il cuore.

Jeff inizia a suonare in giro nel 1986 (forse per sfuggire da quella California borghese e finto-fricchettona che lo aveva ospitato), fino a che nel 1994 esce "Grace", sette pezzi inediti e tre cover, tra cui quella della super-sfruttata "Halleluja" di Leonard Cohen, in una versione che resta una delle migliori, se non la migliore, mai realizzata. Nell'album Jeff suona chitarra, harmonium, organo e dulcimer, accompagnato da Mick Grondahl al basso, Matt Johnson alla batteria e percussioni, Michael Tighe e Gary Lucas alle chitarre: ci sono incursioni nel folk, ma anche nel blues e nel gospel, come a sottolineare una sorta di religiosità intensa e non tradizionale ("Corpus Christi Carol").

Nei due anni successivi Jeff è in tour, con enorme successo di critica e pubblico; nel 1997 inizia a scrivere il nuovo album, e noi saremmo qui a parlarne se non fosse accaduto l'irreparabile il 29 maggio di quell'anno. Mentre si recava agli studi di registrazione, decise di fermarsi a fare un bagno nel Wolf River, completamente vestito: il suo corpo fu ritrovato il 4 giugno.

Jeff Buckley era come un poeta maledetto, non nel senso più banale e retorico della definizione: poeta perché i suoi testi sono talmente ricchi di significati e di livelli di lettura, e incidono così profondamente l'anima, che non si può parlare di semplici canzoni. Maledetto perché in lui non c'è nulla di zuccheroso, la sua visione dell'amore è spesso nera, angosciata, sapeva evidentemente,come Baudelaire, che la vera Bellezza non può essere disgiunta dall'oscurità. E magari dalla morte, spesso presente nei suoi brani (penso per esempio alla title track "Grace").

E poi c'è quella voce, che non è uguale a nessun'altra: in "Lilac wine" passa dal sussurro al grido struggente, supportata da una melodia appena accennata, quasi mistica, in "So real" si arrampica sottile tra passaggi di semitoni che creano un'atmosfera inquietante. Non sai mai dove ti porterà quella voce...

Potrei citare tutti i brani di "Grace", ma leggere quello che dico non ha senso, o almeno ne ha poco rispetto a quello che si prova ascoltandoli. Magari con i testi alla mano. E un fazzoletto in tasca.

"This is our last goodbye I hate to feel the love between us die

But it's over Just hear this and then I'll go You gave me more to live for

More than you'll ever know" "Last goodbye"

Fonti

G. Casale, L. Moccafighe  "Dark angel. I testi di Jeff Buckley", Arcana Edizioni, Roma, 2007

I vostri commenti

Mariel
Hi there! I just want to give you a huge thumbs up for your excellent information you have got right here on this post. I'll be coming back to your website for more soon. payday loans denver
http://linefeed.org/

Lascia un commento

L'indirizzo non verrà pubblicato.
Codice di invio
Visita il mio sito personale - www.serenabasciani.it Seguimi su Facebook Seguimi su Twitter Iscriviti alla Newsletter