Storia

Terremoto L'Aquila - 06 Aprile 2009

Terremoto L'Aquila - 06 Aprile 2009

Si dice che la terra tremi per farci sentire che è viva.
Alcuni dicono che lo faccia per ricordarci che siamo suoi ospiti e che è sempre lei a decidere le regole del gioco.
Gli esperti ed i geologi ci spiegano le cause per le quali i terremoti avvengono.
Ci forniscono delle scale di riferimento per misurare l'intensità dei sismi.
Il 06 Aprile alle ore 03,32 la terra ha fatto sentire che era viva, ha ricordato le regole del gioco agli abruzzesi.
Epicentro a 10 Km dall'Aquila. 5,8 gradi della scala Richter.
Così dicono gli esperti.
A più di 24 ore dalla scossa che ha devastato l'Aquila e provincia il numero delle vittime è di 179, di cui 40 ancora da identificare.
1.500 i feriti, 34 i dispersi, questo il bilancio. Il bilancio, così lo chiamano i cronisti che sono arrivati sul posto.
Guardo tra gli speciali dei tg, leggo tra le notizie di agenzia. I bilanci salgono, i numeri crescono, le polemiche incalzano.
I salotti di seconda serata rubano la scena ai reality show, si litigano i politici e le ministre che preparano meticolosamente al trucco la faccia da calamità naturale.
Immagino quello che possono pensare mentre si lasciano preparare dalla visagista : " Prima o poi doveva capitare anche a me un'occasione del genere " .
Vedo giornalisti entrare tra le sistemazioni di fortuna degli sfollati e chiedere : " Come mai questa notte preferite dormire in macchina ? " , volti disorientati non sanno cosa rispondere.
Tra le macerie della vita del nostro pianeta vedo delle signore sedute, coperta sulle gambe, sguardo verso ciò che si muove freneticamente intorno.
Chi conosce la vita di paese non trova inusuale questa scena.
I miei nonni paterni erano abruzzesi. Certe scene, certi volti, alcuni dialetti per me sanno di una parte della mia casa.
Quelle vecchine sedute tra le rovine sanno di pomeriggio d'estate.
In estate nei paesini dell'Abruzzo tornano i figli ed i nipoti che hanno trovato fortuna fuori, ed allora le vecchine escono poco fuori dall'uscio, e guardano incuriosite quel baccano che l'autunno porterà via.
Mentre scorrono i numeri degli esperti, dei cronisti, dei politici io rivedo quelle immagini.
Le signore sedute fuori tra le rovine delle loro case non possono sperare in una stagione che riporti la normalità.
Forse la loro casa non la vedranno più in piedi.
Sento una signora dire : " Le mie nipotine sono rimaste lì sotto"
"Quanti anni avevano signora ? " incalza il cronista con un tempo imperfetto impietoso.
" 18 e 26 anni" risponde la signora.
18 e 26 anni.
Le sue nipotine.
Penso alla mia nonna materna, che non c'è più ... al modo in cui per lei ero sempre e solo la più piccola.
Non riesco a spersonalizzare certi sentimenti, certe sensazioni, non riesco a non vedere la mia vita tra le vite che scivolano via a queste persone.
Forse per questo non sarò mai una brava giornalista.
Cambia l'immagine, ora è la casa dello studente.
Vedo seduti sul selciato quelli che sono già fuori. Una ragazza singhiozza tra le braccia del fidanzato.
Il cronista dice : " Un bivacco della speranza" io penso " quando di tratta di noi, anche durante le tragedie, non si risparmiano nel mandare subliminali che possano lasciar intendere nullafacenza ..." , dico quando si tratta di noi perché in quei volti rivedo me, le speranze, le amicizie, gli amori.
L'università è quel diaframma che si mette tra te ed il mondo degli adulti.
L'università è la speranza che ci sia qualcuno che possa insegnarti ancora qualcosa che non sai, è la speranza che proprio tu possa finalmente essere capace di dimostrare quello che sei. L'università è l'amicizia ragazzina che diventa donna, è l'incontro con le persone che non vorrai più lasciare nella vita.
L'università è l'amore per il sapere, l'amore per il futuro, l'amore per l'odore della carta e per la sensazione della pagina del libro che ti passa sotto i polpastrelli.
Sotto le macerie ora vedo tutto questo.
Tutto questo e la vita di quei ragazzi quando le mura delle loro case erano ancora in piedi; Le serate in cui sai che devi studiare ma non ce n'è.
I giorni e le notti sui libri, giorni e notti a rimpiangere di ridursi sempre così ed a promettere che : " La prossima sessione inizio a prepararla sei mesi prima ".
Ripetere in gruppo, tornare a casa dopo l'esame, chiamare l'amico che era con te in quei pomeriggi. Ora tutto questo è sepolto da otto piani di cemento armato.
Il cronista punta la camera su una ragazza che piange, moto di orgoglio : " non vogliamo parlare, per favore." Mano davanti la camera. Io penso che avrei fatto lo stesso.
Tirano fuori un ragazzo alle 23.00, lui dice che c'è una ragazza ancora viva dentro.
La trovano, la idratano, la salvano.
Sono quasi le due, è l'ultima notizia che sento : "23 ore sotto le macerie, Marta è viva". Finalmente sento un nome.

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